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Dell'irrazionalità del tacere


D.

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Il subito scambio di opinioni con l'autore di questa discussione ha lasciato germogliare il seme di un pensiero non troppo occasionale.

 

In sostanza, e fin da adesso, la domanda sarà: perché non dichiararsi?

 

Chiedevo al ragazzo di cui sopra

Perché non dichiarare specialmente a chi ci ama quello che siamo? Tutto questo timore - giustificato o no' date=' non mi inoltro -, quest'ansia di perdere o di trovarsi isolati, cosa significa? Io so che tacere ai miei cari, per questa o quella ragione, valida o meno valida, è solo e soltanto una grande truffa. Offriamo agli altri immagini di noi che non esistono, ci rendiamo fittizi, meri commedianti. Perpetriamo un vero e proprio inganno.

 

E poi, non sarebbe meglio, alla fine, poter discernere chi sia amico tra gli amici e parente tra i parenti? Perché preoccuparsi di spezzare una amicizia? Evidentemente non era tale: od era tale solo in funzione di una recita, di un apparire. Perché i legami creati con la finzione hanno la consistenza del fumo; sono evanescenti, instabili, labili. E questo perché riannodare a se stessi i legami instaurati dal proprio interpretato è impossibile. Perderei un amico - certo, ma legato a quale di tutti i tuoi te? [/quote']

 

Il titolo del topic parla da sé, la dissimulazione è non razionale, in quanto non maturata su o attraverso una severa analisi formale. All'indagine del perché farlo, si apre evidente la via del compromesso, del silenzio in nome del quieto vivere entro un antro appartato. Ma il compromesso, si sa, compromette per definizione, ed io mi sono troppo invischiato tra esistenze autentiche e inautentiche per non porre adesso i miei interrogativi.

Come dirsi affezionati ad altri uomini ed affetti di altri uomini quando, omettendo e dissimulando di se stessi, non può esservi piena parità all'interno della relazione instaurata? Il che equivale a chiedere come sia ammissibile un rapporto affettivo tra due viventi se fondato sulla menzogna, il raggiro, la truffa. Come porsi ad una esistenza autentica, ovvero nella posizione di pieni protagonisti di sé e della propria esistenza, interpretando qualcuno di altro, un estraneo, una maschera animata da spettri inesistenti? Tacendo di me stesso non faccio che costruire corrispondenze tra il mondo e la mia facciata [ciò che di me sapeste non fu che la scialbatura..], mi propongo quale non sono. Spaccio identità: inganno. Salvo poi arrogarsi anche la pretesa di una reazione non commisurata nell'altro come dismisura, in luogo di un meritato rimbrotto, nel contesto di una rivelazione.

 

Ma questa è solo la superficie. Se è vero che la recita è costantemente allestita e reiterata, è pur vero che è diretta ad un pubblico e secondo delle ragioni. Parenti, amici, il pubblico di cui desidero discorrere. Beninteso, platea del tutto partecipe (inconsapevole) della commedia. E qui interviene la riflessione sull'irrazionalità del fingersi. Coloro i quali disapproverebbero la nostra natura, serberebbero forse e sempre, incondizionatamente, lo status di amici o parenti? Non diverrebbero d'un colpo solo dei semplici estranei, della zavorra da eliminare? Porre la propria omosessualità come discrimine opererebbe una minuta rivoluzione degli affetti, un vaglio assai rigoroso dei corrispondenti affettivi. L'omettersi, in questa prospettiva, non è che rimando, indefinito posticipare, un vero e proprio illudersi. Ma sarebbe forse, questa, quel che si suole definire esistenza autentica? L'alimentazione di legami consapevolmente fittizi è anzi la negazione del potenziale che noi stessi sempre siamo, è necrosi delle possibilità. Quanta felicità - forzando forse un po' la mano - si potrebbe raggiungere, semplicemente essendo quello che siamo?

Qui si nasconde l'irrazionalità del tacere, in questo illudersi 'fideisticamente' in tutta consapevolezza di una felicità ventura seppur nella mancata realizzazione di sé; in questo colpevole annullarsi e nonostante nominare e conferire significato a legami mantenuti nel torbido; in questo disperato tendere a mantenere salde relazioni costruite con altri, ma come presupposto il personaggio interpretato - interazioni posticce che non hanno la forza di arrivare - per dirla teneramente - al cuore e farlo sobbalzare; in questo disobbedire alla logica per esentarsi dal ricostruire.

 

Ora, voi cosa ne pensate?

 

 

P.S. Non è che ho sbagliato sezione?  :pausa:

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Non ho capito perché ne fai un discorso di "razionalità"

e non un discorso di "morale".

 

Conosco molte persone, figlie di famiglie benestanti,

che non vogliono dichiararsi per non perdere i loro privilegi.

Per loro - razionalmente - mentire sulla loro sessualità

equivale a tacere che i soldi di famiglia li usano per la coca.

 

Ci sono altri infiniti casi in cui si tace per "opportunismo",

ma l'opportunismo è una scelta razionale tra costi e benefici

che può essere evitato solo per uno scatto d'orgoglio:

per una tensione morale ed emotiva che non è "razionale".

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Noi non abbiamo la pelle nera e non abbiamo il Minian

http://it.wikipedia.org/wiki/Minian

 

Vi sono stati anni in cui fare CO era un atto di lucida follia

politica, tanto forte era la pressione sociale all'adattamento

L'opportunismo è indotto, direi, da una domanda sociale di

adattamento ( ti rendo conveniente ciò che voglio ).

 

Una volta una velata evoluta, in modo molto elegante mi

fece intravedere delle possibilità, delle opportunità, sostanzialmente

cercava di "comprarmi"...mi fece vedere il suo "microcosmo sociale" ;

ci potevi entrare solo a determinate condizioni : il presupposto, che

io non accettai, era di essere velati, ma non ci sarei entrato neanche

per gli altri requisiti, beninteso. Non erano gay distonici che si maceravano

in contrizioni...il tutto era molto gradevole.

 

Qui ed oggi è diverso. Intanto oggi esiste l'adolescenza gay, mica

è roba da niente...significa giocare d'anticipo rispetto alle pressioni

sociali. Già quando ero ragazzino io a 16 anni si era in pochissimi...

 

Il tuo discorso D. è giusto, ma lo è nella misura in cui chi scrive

nel forum in realtà sta già vivendo un conflitto, altrimenti non

scriverebbe. E tu cerchi di razionalizzare la loro paura, il chè è

lodevole. Questo tipo di approccio però può funzionare solo nella

misura in cui chi ti ascolta abbia un approccio intellettuale

simile al tuo. Per altri vale molto di più un innamoramento.

 

In ogni caso per quanto si possa razionalizzare la paura e

difendersi da essa, occorre poi un innesco per il coraggio.

Uno scatto d'orgoglio come dice Almadel...insomma non

basta la difesa psicologica, occorre poi passare all' offensiva

 

Io credo che al singolo gay in prospettiva risulterà sempre

più difficile adattarsi alla domanda sociale di omofobia, senza

soffrirne o andare in sofferenza. Esiste oramai una dialettica

volente o nolente.

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Non ho capito perché ne fai un discorso di "razionalità"

e non un discorso di "morale".

 

Ci sono altri infiniti casi in cui si tace per "opportunismo",

ma l'opportunismo è una scelta razionale tra costi e benefici

che può essere evitato solo per uno scatto d'orgoglio:

per una tensione morale ed emotiva che non è "razionale".

 

In questo contesto specifico 'razionale' ha un peso del tutto particolare, e questo in virtù della dialettica posta tra esistenza autentica ed inautentica. Tacere, omettersi omertosamente, è senza dubbio una scelta razionale, l'opportunismo è difatti una manifestazione di un conflitto: scelgo questo  sacrificando, più o meno dolorosamente, altro di mio o di possibile. Ma irrazionale non è privo di razionalità, è piuttosto contro di essa. Avrei forse dovuto impostare la discussione trattando di illogicità, me ne rendo conto. Dacché, in tutta la razionalità della scelta verso l'opportunismo, non v'è una logica dell'esplodere; l'unica scelta veramente sensata, su questa terra, è vivere secondo quello che siamo: occultare questo è schieramento verso una vita falsata, un farsa o commedia o melodramma. Ecco perché non morale. L'assetto esistenziale non è passibile del giudizio del giusto. Non v'è alcunché di sbagliato nel darsi in una esistenza superficiale e insensata [il senso sta sotto la superficie], al più, ed è tutto quello che se ne può dire, è sciocco. In altre parole, la tensione morale ed emotiva, presuppone un disagio esistenziale antecedente, il quale raccoglie in seno l'ansietà di chi vorrebbe progettarsi nella piena fiumana delle sue potenzialità e sceglie di non farlo.

 

Non vi sarebbe che ammettere il primo principio aristotelico, in fondo: ogni cosa è se stessa.

Con tutto quel che significa e ne consegue.

 

In ogni caso per quanto si possa razionalizzare la paura e

difendersi da essa' date=' occorre poi un innesco per il coraggio.

Uno scatto d'orgoglio come dice Almadel...insomma non

basta la difesa psicologica, occorre poi passare all' offensiva

 

Io credo che al singolo gay in prospettiva risulterà sempre

più difficile adattarsi alla domanda sociale di omofobia, senza

soffrirne o andare in sofferenza. Esiste oramai una dialettica

volente o nolente. [/quote']

 

Razionalizzare la paura significa svilire mostri inesistenti, mi azzarderei a dire persino appositamente creati. La difesa psicologica è necessaria ed urgente, realizzare l'infondatezza delle paure e l'inconsistenza dei conflitti. Ma ancora una volta potremmo tirare fuori Festinger, che non guasta mai. Ma, giustamente, tu dici che non basta. E allora come integrare la ricetta? Quel moto d'orgoglio di cui parla Almadel è un moto di riscatto esistentivo, un tentativo di riappropriarsi della vita per come fluisce.

Per farla semplice, l'innesco per il coraggio non può essere che il rendersi conto di stare sprecando vanamente l'unica vita che abbiamo.

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Come dirsi affezionati ad altri uomini ed affetti di altri uomini quando, omettendo e dissimulando di se stessi, non può esservi piena parità all'interno della relazione instaurata?

Il che equivale a chiedere come sia ammissibile un rapporto affettivo tra due viventi se fondato sulla menzogna, il raggiro, la truffa. Come porsi ad una esistenza autentica, ovvero nella posizione di pieni protagonisti di sé e della propria esistenza, interpretando qualcuno di altro, un estraneo, una maschera animata da spettri inesistenti?

 

Pongo l'accento su questa parte del tuo post di apertura, perchè mi pare che il punto di partenza sia in parte non corretto: perchè reputi che l'omettere (tacere, mentire, chiamalo come vuoi) riguardo la propria omosessualità equivalga a minare la parità all'interno della relazione instaurata? Questo potrebbe, e dico potrebbe, essere vero se il partner fosse dichiarato, ma solo perchè limiterebbe di fatto le possibilità complessive in termini di gesti affettuosi (magari in presenza di chi non sa...) e cose simili, ma non precluderebbe di certo l'essere fedeli, la pariteticità del rapporto nel rapporto in sè.

Quanto all'essere protagonisti della propria esistenza, lo si è anche quando RAZIONALMENTE l'analisi della propria posizione sociale, economica, psicologica, delle proprie frequentazioni fa SCEGLIERE di non palesare a tutti l'essere omosessuali.

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Questo potrebbe, e dico potrebbe, essere vero se il partner fosse dichiarato

 

Con relazione intendevo qualsiasi rapporto affettivo tra esseri umani. :pausa:

 

Quanto all'essere protagonisti della propria esistenza, lo si è anche quando RAZIONALMENTE l'analisi della propria posizione sociale, economica, psicologica, delle proprie frequentazioni fa SCEGLIERE di non palesare a tutti l'essere omosessuali.

 

Comprensibile.

Ma se una tale analisi mi fosse sufficiente, dovrei concludere la mia identità; io sono la mia posizione sociale, sono la mia produttività, sono in complesso di leggi psichiche, e sono non meno - a quanto pare - le compagnie delle quali mi circondo. A qualcuno questo può andare bene, ma io sono instancabilmente (e sdegnosamente) persuaso che essere uomini si qualche cosa di più.

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D.

a me sembra che sia opinione comune

che la "razionalità" spinga sempre verso l'inautentico

e che semmai è lo "istinto" a tendere all'autenticità.

 

Con "razionalità" si intende principalmente "mediazione"

e quindi rinuncia al momento autentico nel presente

per un probabile bene venturo.

 

Cercare di coltivare rapporti autentici è bello;

rispondere con la sincerità a chi è sincero con noi è giusto:

niente di queste due cose somiglia alla mia idea di razionale.

 

Lo "sdegno" di cui parli contro la razionalità di Casper

è uno sdegno morale, un "eroico furore";

per lui è "razionale" compiere una mediazione

per te ciò che è bello e giusto è anche razionale,

ma è un uso personalizzimo del termine.

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Casper di tuo rischi di farti un po' troppo condizionare dalla "parità"

che in sè e per sè non è niente di male...ma non esageriamo altrimenti

diventa ingombrante...ma non voglio andare OT

 

Anni fa David Leavitt, se non ricordo male, rilasciò una intervista e parlò dei gay

fiorentini. Disse che rispetto agli USA erano culturalmente molto preparati, stimolanti,

piacevoli romatici etc. etc. ma che le luci nelle nostre dark room erano troppo basse.

La cosa fece discutere, non capita tutti i giorni di finire su una intervista di una celebrità,

anche se sarà stata pubblicata su Babilonia, comunque se ne parlò in giro, molti dissero la loro...e

poi la discussione naturalmente sfumò e le luci rimasero come prima, perché come mi fu detto

da un gestore: " se 'un gli si rizza, 'un si pole"

 

Ecco...ci sono altre questioni nella vita in cui discutere razionalemente serve fino ad un certo punto.

Al contempo io credo che sulle nostre spalle gravi una sessuofobia che pesa di più su una minoranza

sessuale.

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Con "razionalità" si intende principalmente "mediazione"

e quindi rinuncia al momento autentico nel presente

per un probabile bene venturo.

 

Tu, Al, fai riferimento al comune intendimento della Zweckrational, ovvero la razionalità per come oggi è intesa. Minuto procedere a scansi e conserve, sacrificio dell'autentico in nome di benefici futuri, necessariamente maggiori rispetto a quelli ottenibili qui ed ora. Ma esiste - Weber docet - anche una Wertrational, razionalità richiusa all'interno di un registro valoriale. Se una indica i fini (possibili o certi) cui si debba poter giungere, l'altra sancisce i mezzi, stabilisce un modus operandi, indipendentemente dal fine. A questo punto si sarà capito di che razionalità vaneggio.

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Scusate se intervengo a discussione già inoltrata, ma in realtà di topic come questo ce ne sono a bizzeffe.

 

Solo che stanno tutti a chiedersi "ma è proprio necessario fare coming out?" mentre D. è l'unico che invece si chiede "ma vi pare logico starvi zitti?"

 

A prescindere dal fatto che io concordo con D., solo perché la domanda è posta in un altro modo, non significa che questo topic già non esistesse, e peraltro sotto svariate forme!

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